Da la Repubblica.it del 01-12-10
Viaggia sotto falso nome, usa telefoni criptati, paga solo in contanti. Ecco come vive il "James Bond della contronformazione". Con lui giornalisti e hacker, che lavorando davanti a computer in bunker atomici grazie a finanziamenti da donazioni volontarie
NEW YORK - Ottantamila lettori di Time vogliono che sia Julian Assange l'"uomo dell'anno" da mettere in copertina. "Va braccato come Osama Bin Laden", intima invece la leader della destra americana Sarah Palin. "Condanniamo a morte tutte le gole profonde", invoca sulla Fox News l'anchorman Bill O'Reilly mentre il deputato repubblicano Peter King propone "il reato di terrorismo" per le fughe di notizie. Ma chi c'è davvero dietro WikiLeaks? A chi giova politicamente il cataclisma diplomatico orchestrato dal suo capo Assange? Come funziona il suo universo parallelo, che usa un'impenetrabile segretezza interna per imporre il massimo della trasparenza ai governi di tutto il mondo? A meno di protettori potenti, solo un genio può sottrarsi alla caccia all'uomo planetaria, e resuscitare il suo sito dopo formidabili attacchi informatici. Questo australiano di 39 anni si è già conquistato un posto nel Pantheon dei grandi dell'èra Internet.
Come Bill Gates (Microsoft), Larry Page (Google) o Mark Zuckerberg (Facebook) anche Assange è un innovatore rivoluzionario, usando le nuove tecnologie ha scardinato consuetudini diplomatiche antiche di secoli. Un "gigante dell'informatica" lo definiscono anche quegli ex collaboratori che hanno deciso di abbandonarlo per divergenze politiche o etiche. E' un giustiziere o un criminale, angelo o Mefistofele? Daniel Ellsberg, la gola profonda che nel 1971 rivelò al New York Times le bugie di Stato sul Vietnam (i Pentagon
Papers), considera Assange l'eroe del nostro tempo: "Ho aspettato 40 anni - dice - per vedere qualcuno che abbattesse i segreti di Stato in modo da cambiare il corso della storia". Le defezioni polemiche di tanti suoi collaboratori possono dipingere un altro personaggio: ambiguo, irresponsabile, o manipolato.
Dalla clandestinità, rispondendo per email alle interviste, Assange sfida i suoi avversari: "Quel che abbiamo fatto finora è una millesima parte della nostra missione". A Hillary Clinton che lo accusa di mettere in pericolo vite umane: "Da 50 anni questo è l'alibi usato da ogni governo americano, per impedire che l'opinione pubblica sappia ciò che fanno. Ma il coraggio è contagioso: più dimostriamo che la verità è vincente, più avremo nuove rivelazioni".
Conduce "una vita da James Bond della contro-informazione", come la definisce lui stesso. Viaggia sotto falso nome, evita gli alberghi, si tinge i capelli, cambia continuamente telefonino (criptato) e impone ai suoi collaboratori di fare lo stesso. Paga solo in contanti (le carte di credito lasciano tracce) e anche quelli deve farseli prestare per non usare il Bancomat. Eppure l'inizio di questa storia è ben diverso, il che infittisce il mistero di WikiLeaks. Catalogata al suo battesimo nel 2006 come un "organo d'informazione internazionale non-profit", si autodefinisce così: "Un sistema a prova di censura, per generare fughe massicce di documenti riservati senza tradirne l'origine". Tra le regole statutarie: "Accetta solo materiali segreti", e i documenti devono avere "rilevanza politica, diplomatica, storica, etica". Un anno dopo il suo lancio, sul sito WikiLeaks c'erano già 1,2 milioni di documenti. Assange non figura subito come il capo. Alle origini l'organizzazione si descriveva come un collettivo, animato da noti dissidenti cinesi come Xiao Qiang, Wang Youcai e Wang Dan; giornalisti in lotta contro le dittature; matematici ed esperti informatici che cooperavano da Stati Uniti, Europa, Australia, Taiwan, Sudafrica. La componente cinese nel nucleo fondatore è importante: quei dissidenti si sono allenati a "bucare" un muro impenetrabile, la Grande Muraglia di Fuoco, la censura informatica della Repubblica Popolare. La loro presenza è anche all'origine di velenosi sospetti - probabilmente infondati - sull'infiltrazione dei servizi segreti di Pechino in WikiLeaks.
Nei primi anni la battaglia è rivolta soprattutto contro i regimi autoritari, i genocidi, la repressione del dissenso. Nel 2008 WikiLeaks si guadagna un riconoscimento da Amnesty per le rivelazioni sulle esecuzioni sommarie della polizia in Kenya. The Economist assegna al sito il premio New Media Award. Tutto cambia di colpo nell'aprile di quest'anno, quando su WikiLeaks appare il video di una strage di civili iracheni da parte dei soldati americani. Poi a luglio esce la prima infornata di 76.900 documenti segreti sulla guerra in Afghanistan. Seguita da 400.000 comunicazioni confidenziali sul conflitto in Iraq. Per arrivare al grande botto che domenica scorsa ha sparpagliato alla luce del sole 250.000 dispacci diretti al Dipartimento di Stato dalle ambasciate Usa. L'America di Barack Obama diventa il bersaglio numero uno. In coincidenza con questa svolta, aumenta a dismisura la visibilità di WikiLeaks.
Emerge come leader l'australiano Assange, con un passato di pirata informatico. La novità sconvolge alcuni sostenitori del "primo" WikiLeaks. L'agenzia stampa Associated Press, il Los Angeles Times, la federazione degli editori di giornali Usa, che avevano finanziato il sito, ci ripensano. Amnesty International e Reporters senza frontiere criticano Assange con lo stesso argomento della Clinton, "per avere messo in pericolo vite umane" (divulgando nomi di informatori afgani della Cia, ora esposti alla vendetta dei Taliban). Alla ritirata dei grandi sostenitori Assange reagisce appoggiandosi su una miriade di simpatizzanti, i micro-pagamenti affluiscono dal mondo intero usando il sistema Paypal. Più inquietanti sono le defezioni tra gli amici e i collaboratori più stretti. Un vero e proprio "scisma", accelerato dopo le accuse di molestie sessuali da parte di due donne svedesi contro Assange (lui nega, sostiene che i rapporti furono consensuali). Almeno una dozzina di volontari del nucleo originario di WikiLeaks sono partiti. Alcuni parlano. Come il 25enne islandese Herbert Snorrason che di Assange dice: "Ormai è fuori di testa". Birgitta Jonsdottir, una parlamentare islandese che era stata anche lei tra gli attivisti fondatori, accusa Assange di aver deciso tutto da solo sui segreti militari americani in Afghanistan. Altri, dietro l'anonimato, lo accusano di essere diventato "megalomane, dittatoriale".
Non lo abbandonano però i fedelissimi: 40 volontari, 800 aiutanti esterni. Un miracolo economico, per un'organizzazione che sopravvive con un budget di soli 200.000 euro all'anno. Senza una sede fisica. Spostandosi virtualmente in quelle "piazze giuridiche off-shore" dalle leggi più tolleranti per la libertà di espressione. Un prodigio tecnologico, soprattutto: "Com'è possibile - hanno chiesto le autorità inglesi in questo weekend di attese isteriche - che il Pentagono con tutta la sua potenza nella guerra elettronica non riesca a oscurare per sempre WikiLeaks?". La risposta è tutta nel genio di Assange. In fuga perpetua dall'Australia alla Svezia, da Berlino a Londra, forse in procinto di chiedere asilo alla Svizzera, anche per i "server" di Internet lui usa lo stesso metodo, cambia costantemente i propri snodi di comunicazione. E ha un'arma segreta, quella che lui definisce la sua "polizza vita": molti documenti riservati in suo possesso sono già stati "scaricati" via Twitter in forma criptata sui computer di decine o forse centinaia di simpatizzanti. "Se succede qualcosa a me - minaccia Assange - o al sito principale, scatta automaticamente la divulgazione della password che consentirà di diffondere tutto questo materiale". Bluff o verità? Tutto ciò che riguarda Assange si presta a doppie letture, è circondato da un alone di mistero.
Lo stesso uso politico che ne viene fatto: la destra americana lo denuncia come un terrorista, ma al tempo stesso strumentalizza le fughe di notizie contro l'Amministrazione Obama. I mass media hanno imparato quanto Assange possa essere implacabile: il New York Times è stato messo "in quarantena" per non avere accettato a scatola chiusa i diktat di WikiLeaks, il Wall Street Journal e la Cnn sono stati messi al bando dalle rivelazioni. Braccato da polizie e magistrature, bersagliato dagli hacker, la primula rossa che ha abbattuto ogni regola dei segreti di Stato si fa beffe dell'annuncio che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato rivedranno tutti i sistemi di comunicazione: "Il nuovo volto della censura moderna è impedire le fughe di notizie riservate. Ma per quanto inventino nuove protezioni, sarà sempre possibile escogitare i sistemi per aggirale".
(01 dicembre 2010)
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