EUGENIO TURRI
39 anni fa, era il 1973, Eugenio Turri denunciava, sul
giornalino La Voce del Paese, i mali di Cavaion, a livello urbanistico e
territoriale, e ne preconizzava, se così si può dire, la triste fine.
Ora, l’Amministrazione, con parecchi anni di ritardo
rispetto a quando ne aveva dato il preannuncio, intitolerà all’illustre
cittadino la Sala Civica di Cavaion Veronese.
Facile immaginare che cosa ne penserà il defunto,
inascoltato Eugenio Turri, che all’epoca lodava il giornalino, recentemente
risorto.
Chissà se oggi, per non urtare la sensibilità di chi è al
potere, tale articolo verrebbe pubblicato.
Non ho conosciuto Eugenio Turri, ma nutro una grande stima
ed affetto nei suoi confronti.
Adriana
Bozzetto – una extra comunitaria
EUGENIO TURRI
CONOSCERE IL PROPRIO
PAESE
(prima puntata)
Fino a non molti anni fa la vista di Cavaion poteva
costituire una felice sorpresa. Il paese, con le sue case addossate al versante
del colle San Michele, aveva una sua tipica grazia veneta e una sua luce
mediterranea, entro un paesaggio dolcissimo di campi e vigneti. Piaceva perché
ridente ed aperto verso Sud, disteso sopra le morbide ondulazioni della
campagna tra l’Adige e il lago di Garda. Ed era un paese composto, con le sue
case sparse tra gli orti, con i vigneti, i vecchi alberi e i boschetti intorno
alle dimore signorili, con le piccole strade in salita fiancheggiate da muri
orlati di seregni; e aveva quella atmosfera secolare, silente, tutta pervasa
dal sentore della campagna. Un paese antico, con una sua storia, una sua
topografia e un suo paesaggio inconfondibile.
Oggi, però, il paese è molto cambiato, ha perduto gran parte dei suoi
connotati d’un tempo, la sua dolcezza agreste, la sua grazia di piccolo
silenzioso paese.
Illudersi che il passato possa
restare imprigionato nel presente è ingenuo, ed anche Cavaion non può e non
deve sottrarsi alle grandi trasformazioni che stanno ovunque cambiando modi di
vita e paesaggio, eliminando le eredità più tristi del passato, la miseria,
l’arretratezza, le bieche chiusure. Ma le
trasformazioni non devono essere casuali e incontrollate, non devono togliere
personalità al paese.
Ogni paese ha propri valori che, come beni preziosi, vanno custoditi,
salvaguardati. In essi la gente deve riconoscersi. Oggi si parla tanto di questi problemi: civiltà da difendere, società
da salvare dalla degradazione del senso civile e comunitario del vivere. Sono i
problemi più scottanti, più attuali. Essi però non si risolvono con le
decisioni di pochi, di quelli che hanno le leve del potere; o perché
politicamente influenti o perché economicamente capaci di iniziative; la gente non
deve passivamente subire le decisioni di questi, deve farsi voce viva di ogni
evoluzione. In questo senso un giornaletto come “La Voce del Paese” è
quanto di più civile e giusto si possa fare, con mezzi modesti e tanta buona
volontà da parte dei pochi che lo tengono in vita, per dare una dimensione
civile e sociale alla vita di Cavaion, purché, naturalmente, il giornaletto si
faccia palestra per il dialogo, per lo scambio di opinioni, secondo costumi
civili e democratici.
Ogni abitante di Cavaion dovrebbe essere lieto di questo piccolo foglio e dovrebbe in qualche modo partecipare alla
discussione, sfogare se del caso il proprio malcontento, plaudire se del caso
alle decisioni giuste: questo è il senso sociale del vivere, la giusta
dimensione della vita di paese.
Sino ad oggi Cavaion è cresciuto male e si avverte imminente la fine
di Cavaion come paese con una sua vita peculiare. Tra pochi anni esso potrà diventare un paese anonimo, senza più grazia,
guastato dall’edificazione più abnorme e squallida, territorialmente abbruttito
dalla mancanza di una volontà coordinatrice e appassionata dei suoi abitanti.
Non si vuole far qui dei processi, ma riteniamo che sia giusto suscitare un
certo disincanto, aprire gli occhi civilmente alla gente. Il paese sta decidendo in questi anni il suo futuro: ne potrà risultare
la felicità o meno di chi ci vive, la serenità dei nostri figli. Mi pare che di
questo i responsabili del paese non ne tengano minimamente conto.
Le trasformazioni avvengono casualmente secondo interessi di pochi che
poco guardano al bene della collettività. Ad esempio, esiste un piano regolatore dovuto ad
un valente architetto-urbanista, che come tutti i piani studiati a tavolino
potrà avere parecchi difetti, ma che certamente può costituire la base di ogni
ulteriore sviluppo del paese. Ora, perché questo piano resta chiuso nei
cassetti del Comune? Perché non lo si
espone pubblicamente e non si invita la gente a discutere, a esprimere il
proprio parere? E’ evidente che ci sono in gioco interessi particolari, come
del resto succede in tutti o quasi paesi italiani.
Il paese che deve nascere deve recare l’impronta non di pochi (speculatori
o arbitri della vita del paese), ma deve nascere dalla volontà di tutti. Il
paese in quanto tale è una comunità spontanea, che nasce da interessi comuni.
Sino ad oggi ha prevalso l’interesse del singolo. Questo è anche cristianamente
da condannare.