Articolo di Eugenio Benettazzo del 26 giu 2014
Ancora forse diciotto mesi, dopo di che sarà come se la vostra casa avesse le pareti di vetro. Per il 2016 la view su cui hanno voluto convergere OCSE e G20 è ormai ben delineata: ogni authority fiscale dovrà poter conoscere il patrimonio non tangibile di ogni contribuente al di fuori dei confini del paese in cui il soggetto dichiara di essere residente. I patrimoni finanziari sottratti al fisco che ancora si trovano occultati in paesi a fiscalità agevolata o in paesi black list fanno gola ai governi occidentali, i quali devono far fronte ad esigenze di cassa sempre più cospicue per consentire la copertura finanziaria degli ammortizzatori sociali o per tentare di rendere più competitive le rispettive economie grazie al rilascio di sgravi fiscali o incentivi agli investimenti. Alla fine lo strumento principe su cui si è voluto concentrare è rappresentato dalla cooperazione internazionale attraverso meccanismi automatici di scambio di informazioni multilaterale sulla base del modello FATCA. Il patrimonio finanziario di ogni contribuente europeo o statunitense dovrà diventare una cassetto di vetro sul quale le rispettive authority potranno contare per l’applicazione di imposte patrimoniali una tantum o per conoscere la complessiva struttura di patrimonio di ogni contribuente.
Con grande presunzione, entro diciotto mesi chi ancora deterrà capitali occultati all’estero, nelle sue varie forme, frutto di evasione fiscale o di operazioni illecite, sarà come se quel denaro non lo avesse proprio, in quanto vi saranno oggettive limitazioni o peggio impedimenti alla sua immissione nei circuiti finanziari o alla sua fruizione cartacea. I contribuenti italiani si stima abbiano occultato all’estero oltre 200 miliardi: ricordiamo che questa cifra veniva menzionata anche in prossimità dello Scudo Fiscale del 2009 che portò alla emersione di quasi 100 miliardi, tra rimpatrio e regolarizzazione. Questo significa che in cinque anni gli italiani hanno prodotto circa 20 miliardi di capitali occultati alle finanze pubbliche. I precedenti governi, Monti & Letta, non sono riusciti a creare le condizioni per produrre il rimpatrio di queste poste a causa di meccanismi di regolarizzazione fallimentari (pensiamo alla voluntary disclosure) sia sul piano della quantificazione delle sanzioni (analtica e non sintetica) e per le criticità rilevanti (che comprendevano anche la sfera penale) ricadenti tanto sui professionisti che sugli intermediari finanziari. Al momento in cui scrivo si ha notizia di una possibile proposta di maxicondono da parte dell’attuale Governo Renzi per favorire il rientro dei capitali trafugati al’estero con orchestrazione da parte del Ministro Padoan.
Se arriverà in porto e verrà approvata nelle prossime settimane, gli aspetti che tratterà saranno ben più ampi della sola sfera fiscale in quanto verrebbero normati più generosamente anche gli elementi di punibilità riconducibili alle omissioni, alle frodi fiscali, ai reati di falso in bilancio, arrivando fino all’occultamento e distruzione di documenti contabili. Già oggi qualsiasi contribuente infedele che volesse provare a mettere mano alle poste occultate all’estero si troverebbe duplicemente in difficoltà tanto fuori confine quanto in casa propria. La certezza di una SOS (segnalazione di operazione sospetta), per adesso solo entro i confini italiani, e più avanti probabilmente estesa a tutto lo Spazio Economico Europep diventerà il miglior deterrente per contrastare i fenomeni di evasione fiscale e di riciclaggio. Non vi stupite se entro cinque anni sarà praticamente impossibile saldare in contanti una qualsiasi transazione e/o compravendita economica qualora di importo superiore ai 100 euro. Il ricorso obbligatorio a strumenti di pagamento istantaneo ed elettronico (tipo carte contactless o near filed communication) rappresenterà un must sociale, non tanto per la presenza di un dispositivo di legge che ne imporrà l’utilizzo, quanto per ragioni di moda e costume sociale, pensate solo a come sono stati introdotti e si sono diffusi i social network e gli smart phone.
In estrema sintesi quindi si dovrà essere titolari di un patrimonio finanziario sulla cui formazione ed entità (tanto in Italia che fuori confine) non siano presenti in nessun modo elementi di criticità. Da questo punto di vista potrebbero infatti emergere anche singolari problematicità per i cosidetti soggetti terzi correlati (coniuge, figli, parenti, beneficiari di varia natura su singoli strumenti finanziari) in caso di investimenti e/o delocalizzazioni di patrimonio all’estero. In tal senso infatti sconsiglio vivamente di effettuare tali operazioni verso paesi presso i quali non si abbia un effettivo radicamento per ragioni imprenditoriali o di cambio di stile di vita. I vari paesi infatti intraprenderanno elementi di discriminazione, tipo imposte dedicate (stile IVIE e IVAFE) e oneri specifici sulle transazioni, per armonizzare gli effetti del dumping finanziario o fiscale. Sostanzialmente detenere patrimonio all’estero (in paesi collaborativi) non avrà alcun significato a meno di essere effettivamente residenti e radicati nel paese in questione. Da questo punto di vista infatti chi vorrà delocalizzare finanziariamente parte del suo patrimonio in altro paese diverso da quello di residenza lo potrà fare utilizzando gli strumenti finanziari di investimento creati appositamente tipo i fondi comuni di investimento armonizzati domiciliati in piazze europee il cui portafoglio è costituito da investimenti tangibili o non tangibili sui paesi europei o extra europei.
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