martedì 20 gennaio 2015

Discorso di Papa Francesco alla Curia Romana

La Curia Romana e il Corpo di Cristo
Lunedì, 22 dicembre 2014

 “Tu sei sopra i cherubini, tu che hai cambiato la miserabile condizione del mondo quando ti sei
fatto come noi
” (Sant'Atanasio)

Cari fratelli,
Al termine dell’Avvento ci incontriamo per i tradizionali saluti. Tra qualche giorno avremo la gioia di
celebrare il Natale del Signore; l’evento di Dio che si fa uomo per salvare gli uomini; la
manifestazione dell’amore di Dio che non si limita a darci qualcosa o a inviarci qualche messaggio
o taluni messaggeri ma dona a noi sé stesso; il mistero di Dio che prende su di sé la nostra
condizione umana e i nostri peccati per rivelarci la sua Vita divina, la sua grazia immensa e il suo
perdono gratuito. E’ l’appuntamento con Dio che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per
insegnarci la potenza dell’umiltà. Infatti, il Natale è anche la festa della luce che non viene accolta
dalla gente “eletta” ma dalla gente povera e semplice che aspettava la salvezza del Signore.

Innanzitutto, vorrei augurare a tutti voi - collaboratori, fratelli e sorelle, Rappresentanti pontifici
sparsi per il mondo - e a tutti i vostri cari un santo Natale e un felice Anno Nuovo. Desidero
ringraziarvi cordialmente, per il vostro impegno quotidiano al servizio della Santa Sede, della
Chiesa Cattolica, delle Chiese particolari e del Successore di Pietro.


Essendo noi persone e non numeri o soltanto denominazioni, ricordo in maniera particolare coloro
che, durante questo anno, hanno terminato il loro servizio per raggiunti limiti di età o per aver
assunto altri ruoli oppure perché sono stati chiamati alla Casa del Padre. Anche a tutti loro e ai
loro famigliari va il mio pensiero e gratitudine.

Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta
lasciando, per gli eventi vissuti e per tutto il bene che Egli ha voluto generosamente compiere
attraverso il servizio della Santa Sede, chiedendogli umilmente perdono per le mancanze
commesse “in pensieri, parole, opere e omissioni”.


E partendo proprio da questa richiesta di perdono, vorrei che questo nostro incontro e le riflessioni
che condividerò con voi diventassero, per tutti noi, un sostegno e uno stimolo a un vero esame di
coscienza per preparare il nostro cuore al Santo Natale.

Pensando a questo nostro incontro mi è venuta in mente l’immagine della Chiesa come il Corpo
mistico di Gesù Cristo. È un’espressione che, come ebbe a spiegare il Papa Pio XII, «scaturisce e
quasi germoglia da ciò che viene frequentemente esposto nella Sacra Scrittura e nei Santi
Padri»[1]. Al riguardo san Paolo scrisse: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte
membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor
12,12)[2].

In questo senso il Concilio Vaticano II ci ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige
una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l'utilità della Chiesa distribuisce la
varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei
ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11)»[3]. Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” - Christus
totus -. La Chiesa è una con Cristo»[4].

E’ bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un
“corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più
unito in sé stesso e con Cristo.

In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici,
Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono
coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le
diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri[5].

Comunque, essendo la Curia un corpo dinamico, essa non può vivere senza nutrirsi e senza
curarsi. Difatti, la Curia - come la Chiesa - non può vivere senza avere un rapporto vitale,
personale, autentico e saldo con Cristo[6]. Un membro della Curia che non si alimenta
quotidianamente con quel Cibo diventerà un burocrate (un formalista, un funzionalista, un mero
impiegato): un tralcio che si secca e pian piano muore e viene gettato lontano. La preghier quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla
riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta
sono l’alimento vitale per ciascuno di noi. Che sia chiaro a tutti noi che senza di Lui non potremo
fare nulla (cfr Gv 15, 8).

Di conseguenza, il rapporto vivo con Dio alimenta e rafforza anche la comunione con gli altri, cioè
tanto più siamo intimamente congiunti a Dio tanto più siamo uniti tra di noi perché lo Spirito di Dio
unisce e lo spirito del maligno divide.

La Curia è chiamata a migliorarsi, a migliorarsi sempre e a crescere in comunione, santità e
sapienza per realizzare pienamente la sua missione[7]. Eppure essa, come ogni corpo, come ogni
corpo umano, è esposta anche alle malattie, al malfunzionamento, all’infermità. E qui vorrei
menzionare alcune di queste probabili malattie, malattie curiali. Sono malattie più abituali nella
nostra vita di Curia. Sono malattie e tentazioni che indeboliscono il nostro servizio al Signore.
Credo che ci aiuterà il “catalogo” delle malattie - sulla strada dei Padri del deserto, che facevano
quei cataloghi - di cui parliamo oggi: ci aiuterà a prepararci al Sacramento della Riconciliazione,
che sarà un bel passo di tutti noi per prepararci al Natale.

1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i
necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca
di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi
di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili!
È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr Lc 12, 13-21) e
anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti.
Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che
guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto
degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi[8]. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di
sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo
fare» (Lc 17, 10).

2. Un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di
coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi
sotto i piedi di Gesù (cfr Lc 10,38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un
po’” (cfr Mc 6,31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo
del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto
seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti
di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per ogni
cosa» (3,1-15).

3. C’è anche la malattia dell’“impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono
un cuore di pietra e un “duro collo” (At 7,51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità
interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e
non “uomini di Dio” (cfr Eb 3,12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci
piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che
perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr Fil 2,5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si
indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr Mt 22,34-
40). Essere cristiano, infatti, significa «avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil
2,5), sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità[9].

4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. Quando l'apostolo pianifica tutto
minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente
progrediscano, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è
necessario, ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello
Spirito Santo, che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr Gv
3,8). Si cade in questa malattia perché «è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie
posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura
in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… - addomesticare lo Spirito Santo! - …
Egli è freschezza, fantasia, novità»[10].

5. La malattia del cattivo coordinamento. Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il
corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza, diventando un’orchestra che
produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di
squadra. Quando il piede dice al braccio: “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando
io”, causando così disagio e scandalo.

6. C’è anche la malattia dell’“alzheimer spirituale”: ossia la dimenticanza della “storia della
salvezza”, della storia personale con il Signore, del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di un declino
progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi
handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo
uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che
hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso
deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro
passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini
diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

7. La malattia della rivalità e della vanagloria[11]. Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le
insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San
Paolo: «Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli
altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri» (Fil
2,1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso “misticismo” e
un falso “quietismo”. Lo stesso San Paolo li definisce «nemici della Croce di Cristo» perché «si
vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Fil 3,19).

8. La malattia della schizofrenia esistenziale. E’ la malattia di coloro che vivono una doppia vita,
frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli
accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il
sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà,
con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che
insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La
conversione è alquanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr Lc 15,11-32).

9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già
parlato tante volte ma mai abbastanza. E’ una malattia grave, che inizia semplicemente, magari
solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di
zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e
confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare
direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e
senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo
delle chiacchiere!

10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di
ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le
persone e non Dio (cfr Mt 23,8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a
ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo
dal proprio fatale egoismo (cfr Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori
quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e
dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.

11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. Quando ognuno pensa solo a sé stesso e perde la
sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al
servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé
invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova
gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.

12. La malattia della faccia funerea. Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che
per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto
quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il
pessimismo sterile[12] sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve
sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque
si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che
sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e
persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili[13]. Quanto bene
ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di san
Thomas More[14]: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.

13.La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo
cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla
di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni -
anche se sono regali - non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più
esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi sono
arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero,
cieco e nudo ... Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19). L’accumulo appesantisce solamente
e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli
descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco
di un giovane gesuita che, mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti
e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare:
questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa?”. I nostri traslochi sono un segno di questa
malattia.

14.La malattia dei circoli chiusi, dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al
Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone
intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro che minaccia
l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli.
L’autodistruzione o il “fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo[15]. È il male che
colpisce dal di dentro[16]; e, come dice Cristo, «ogni regno diviso in se stesso va in rovina» (Lc
11,17).

15.E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi[17], quando l’apostolo trasforma
il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la
malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono
capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste.
Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male
al Corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale
scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un
sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontare loro - e inventare - delle cose private e
riservate dei suoi confratelli e parrocchiani. Per lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché
così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!

Fratelli, tali malattie e tali tentazioni sono naturalmente un pericolo per ogni cristiano e per ogni
curia, comunità, congregazione, parrocchia, movimento ecclesiale, e possono colpire sia a livello
individuale sia comunitario.

Occorre chiarire che è solo lo Spirito Santo - l’anima del Corpo Mistico di Cristo, come afferma il
Credo Niceno-Costantinopolitano: «Credo... nello Spirito Santo, Signore e vivificatore» - a guarire
ogni infermità. È lo Spirito Santo che sostiene ogni sincero sforzo di purificazione e ogni buona
volontà di conversione. È Lui a farci capire che ogni membro partecipa alla santificazione del
corpo e al suo indebolimento. È Lui il promotore dell’armonia[18]: “Ipse harmonia est”, dice san
Basilio. Sant’Agostino ci dice: «Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è
disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi»[19].

La guarigione è anche frutto della consapevolezza della malattia e della decisione personale e
comunitaria di curarsi sopportando pazientemente e con perseveranza la cura[20].
Dunque, siamo chiamati - in questo tempo di Natale e per tutto il tempo del nostro servizio e della
nostra esistenza - a vivere «secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa
verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante
la collaborazione di ogni giuntura, secondo l'energia propria di ogni membro, riceve forza per
crescere in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16).
Cari fratelli!
Una volta ho letto che i sacerdoti sono come gli aerei: fanno notizia solo quando cadono, ma ce
ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro. È una frase molto simpatica ma
anche molto vera, perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e
quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa.

Dunque, per non cadere in questi giorni in cui ci prepariamo alla Confessione, chiediamo alla
Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa, di sanare le ferite del peccato che ognuno di
noi porta nel suo cuore e di sostenere la Chiesa e la Curia affinché siano sane e risanatrici; sante
e santificatrici, a gloria del suo Figlio e per la salvezza nostra e del mondo intero. Chiediamo a Lei
di farci amare la Chiesa come l’ha amata Cristo, suo figlio e nostro Signore, e di avere il coraggio
di riconoscerci peccatori e bisognosi della sua Misericordia e di non aver paura di abbandonare la
nostra mano tra le sue mani materne.
Tanti auguri di un santo Natale a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori. E, per favore,
non dimenticate di pregare per me! Grazie di cuore!

[1] Egli afferma che la Chiesa, essendo mysticum Corpus Christi, «richiede anche una moltitudine
di membri, i quali siano talmente tra loro connessi da aiutarsi a vicenda. E come nel nostro
mortale organismo, quando un membro soffre, gli altri risentono del suo dolore e vengono in suo
aiuto, così nella Chiesa i singoli membri non vivono ciascuno per sé, ma porgono anche aiuto agli
altri, offrendosi scambievolmente collaborazione, sia per mutuo conforto sia per un sempre
maggiore sviluppo di tutto il Corpo … un Corpo costituito non da una qualsiasi congerie di
membra, ma deve essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo
compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve
chiamarsi corpo, perché risulta da una retta disposizione e coerente unione di membra fra loro
diverse» (Enc. Mystici Corporis, Parte Prima: AAS 35 [1943], 200).
[2] Cfr Rm 12,5: «Così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per
la sua parte siamo membra gli uni degli altri».
[3] Cost. dogm. Lumen gentium, 7.
[4] Da ricordare che “il paragone della Chiesa con il corpo illumina l'intimo legame tra la Chiesa e
Cristo. Essa non è soltanto radunata attorno a Lui; è unificata in Lui, nel suo Corpo. Tre aspetti
della Chiesa-Corpo di Cristo vanno sottolineati in modo particolare: l'unità di tutte le membra tra di
loro in forza della loro unione a Cristo; Cristo Capo del corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo” Cfr.
Catechismo della Chiesa Cattolica, N. 789 e 795.
[5] Cfr. Evangelii Gaudium, 130-131.
[6] Gesù più volte aveva fatto conoscere l’unione che i fedeli debbono avere con Lui: “Come il
tralcio non può portar frutto da sé stesso se non rimane unito alla vite, così neanche voi, se non
rimarrete uniti in Me. Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15, 4-5).
[7] Cfr. Pastor Bounus Art. 1 e CIC can. 360.
[8] Cfr. Evangelii Gaudium, 197-201.
[9] Benedetto XVI Udienza Generale, 01 Giugno 2005.
[10] Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014.
[11] Cfr. Evangelii Gaudium, 95-96.
[12] Ibid, 84-86.
[13] Ibid, 2.
[14] Signore, donami una buona digestione e anche qualcosa da digerire. Donami la salute del
corpo e il buon umore necessario per mantenerla. Donami, Signore, un'anima semplice che
sappia far tesoro di tutto ciò che è buono e non si spaventi alla vista del male ma piuttosto trovi
sempre il modo di rimetter le cose a posto. Dammi un'anima che non conosca la noia, i
brontolamenti, i sospiri, i lamenti, e non permettere che mi crucci eccessivamente per quella cosa
troppo ingombrante che si chiama "io". Dammi, Signore, il senso del buon umore. Concedimi la
grazia di comprendere uno scherzo per scoprire nella vita un po' di gioia e farne parte anche agli
altri. Amen.
[15] Evangelii Gaudium, 88.
[16] Il Beato Paolo VI riferendosi alla situazione della Chiesa affermò di avere la sensazione che
«da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio», Omelia di Paolo VI, Solennità
dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Giovedì, 29 giugno 1972. Cfr. Evangelii Gaudium, 98-101.
[17] Cfr. Evangelii Gaudium: No alla mondanità spirituale, N. 93-97.
[18] “Lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli dà la vita, suscita i differenti carismi che
arricchiscono il Popolo di Dio e, soprattutto, crea l’unità tra i credenti: di molti fa un corpo solo, il
Corpo di Cristo… Lo Spirito Santo fa l’unità della Chiesa: unità nella fede, unità nella carità, unità
nella coesione interiore” (Francesco, Omelia Santa Messa in Turchia, 30 novembre 2014).
[19] August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII, 754.
[20] Cfr. Evangelii Gaudium, Pastorale in conversione, n. 25-33.

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